"Non uccidere..." - QUINTO COMANDAMENTO



Quinto Comandamento.

"Non uccidere" (Es 20,13).

Prima di iniziare la disanima delle singole fattispecie concrete che cadono sotto l’oggetto del quinto comandamento, è bene ricordare la verità di fede che lo anima e lo informa: Dio è vita, è l’autore della vita, è il creatore della vita ed è l’unico Signore della vita, Colui che solo ha il diritto di darla e di toglierla come vuole, quando vuole e a chi vuole. Tutti gli enti creati ricevono da lui, che solo li possiede per essenza e in forma piena e perfetta, l’essere e l’esistenza e alcuni fra di essi (le creature intelligenti, cioè gli angeli e gli uomini) ricevono anche l’immagine e somiglianza con il Creatore, che rende le loro vite sacre e preziose e, in quanto tali, assolutamente indisponibili ad ogni forma di aggressione, violazione e arbitraria manipolazione.

La prima grave violazione del quinto comandamento avviene con i gravissimi peccati dell’omicidio e del suicidio, attraverso i quali un uomo toglie a un suo simile o a se stesso la vita senza una giusta e gravissima motivazione. Precisiamo subito che mentre in presenza di alcune giuste cause (legittima difesa o esercizio corretto delle funzioni di pubblica sicurezza o dell’attività militare) l’omicidio perde il carattere di peccaminosità; per il suicidio, secondo l’opinione più comune, ci possono solo essere circostanze che diminuiscono agli occhi di Dio la responsabilità morale del suicida, ferma restando l’intrinseca e irreversibile peccaminosità dell’atto.

Connessi con queste prime due fattispecie sono gli esecrandi delitti dell’aborto e dell’eutanasia. Il primo, infatti, altro non è se non un gravissimo omicidio aggravato ulteriormente da due circostanze ed il secondo non è nient’altro che un suicidio che, pur ammantato di ”nobili motivazioni e fini”, non è nient’altro che un’usurpazione del diritto, spettante a Dio solo, di stabilire la fine della vita umana.

È abominevole l’aborto perché colpisce un essere umano assolutamente indifeso (prima circostanza aggravante) attraverso la persona alla cui custodia e protezione quest’essere è affidato e che, per compiere un atto tanto grave e spregevole, deve vincere un istinto naturale fortissimo presente anche nelle specie più efferate di mammiferi (seconda circostanza aggravante).

A questo proposito, è opportuno spendere una parola su uno dei paradossi assurdi e mostruosi di questi nostri malati tempi: l’animalismo. È noto infatti che i fautori più accaniti del libero aborto, della libera eutanasia, della libera fecondazione e delle libere manipolazioni gridano allo scandalo e si stracciano le vesti se vedono un cane abbandonato d’estate oppure se si incaglia un delfino in qualche scogliera, o se si apre la nuova stagione della caccia o sciocchezze del genere.

Il Signore ha creato tutte le creature perché siano sottomesse all’uomo e l’uomo come signore del creato, l’unico creato a sua immagine e somiglianza. La vita umana ha pertanto dignità unica e assolutamente inviolabile. Le altre meritano rispetto e considerazione, ma possono essere sacrificate (per giuste e nobili cause) all’interesse dell’uomo, in maniera perfettamente conforme alla volontà di Dio. Non dimentichiamolo mai e non cessiamo di proclamarlo con chiarezza e fermezza.

Nel celebre discorso della montagna, in cui Gesù affermò chiaramente di voler dare “pieno compimento” (cioè “completamento”) alla legge mosaica (Mt 5,17), espressa in primis nei precetti del decalogo, Egli volle puntualizzare la modalità in cui la Sua Legge nuova si innestava su alcuni comandamenti specifici, tra cui il quinto. Sentiamo le sue splendide e chiarissime parole: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico……..” (Mt 5,21-26). Dal tenore del testo, si comprende come Gesù faccia riferimento a una vasta gamma di fattispecie: dall’ira all’offesa, da questa alla litigiosità, alla discordia, al rancore.

Il quinto comandamento non proibisce solo l’uccisione vera e propria, ma anche le forme mascherate di uccisione quali la calunnia grave o la critica pungente che distrugge moralmente il prossimo o lo rende insicuro di sé.